Il fanciullo eracliteo di Nietzsche

Nietzsche
Nietzsche

Il gioco come forza liberatrice dal razionalismo occidentale nella filosofia di Friedrich Nietzsche (1844 – 1900)

Nono articolo della collana Il gioco nella filosofia dedicato a Friedrich Nietzsche. La collana si propone di illustrare come il gioco sia presente nella filosofia di vari pensatori e quale funzione esso abbia assunto nel corso della storia della filosofia. La serie è curata da Brunella Antomarini, docente di filosofia presso l’università John Cabot di Roma.

Il presente articolo è incentrato sul significato del gioco nel pensiero di Friedrich Nietzsche.

Se, da una parte, Peirce ci insegna a usare il gioco come strumento per conoscere la realtà, dall’altra Nietzsche ci invita a giocare con la realtà stessa e rivedere le nostre certezze. Il tema del gioco percorre tutta l’opera di Nietzsche, tanto che potremmo quasi definire la sua una filosofia del gioco. A partire dagli scritti giovanili, come La nascita della tragedia, fino agli scritti più tardi, come La gaia scienza e Così parlò Zarathustra, è possibile rintracciare nella metafora del gioco le idee di casualità, libertà, leggerezza che col tempo maturano nel pensiero di Nietzsche. Il gioco, in poche parole, si può interpretare come la forza liberatrice con cui Nietzsche distrugge il razionalismo occidentale.

Il tema del gioco si manifesta dapprima nella lotta fra apollineo e dionisiaco – vale a dire nell’opposizione fra l’impulso creatore e quello distruttore che sono all’origine dell’antica tragedia attica – su cui è incentrata La nascita della tragedia. In questa prima opera di natura filosofica, Nietzsche fa sua la metafora di Eraclito che paragona la vita ad un bambino che sposta pietruzze o gioca a dadi su una scacchiera. È Nietzsche stesso a definire la lotta fra apollineo e dionisiaco un “gioco di costruzione e distruzione del mondo individuale” che richiama “l’efflusso di una gioia primordiale”, proprio come “la forza formatrice del mondo viene paragonata da Eraclito l’oscuro a un fanciullo che giocando disponga pietre qua e là, innalzi mucchi di sabbia e di nuovo lì disperda” (La nascita della tragedia, p.160). Non è un caso che Nietzsche citi esplicitamente Eraclito, il filosofo che, come si è già detto in questa collana, attribuisce al gioco un significato profondo. Eraclito infatti nega la distinzione fra un mondo metafisico e uno fisico – distinzione che Nietzsche tanto critica per aver ammorbato il pensiero e la società occidentale – e a comprendere la realtà come un continuo divenire, una continua lotta, o gioco, fra opposti. Il gioco, in tal senso, evoca una realtà regolata da nessuna legge se non quella del gioco stesso, cioè la libertà, e priva di qualsiasi tipo di finalismo.

Nietzsche è attratto dall’approccio inquisitivo che il suo maestro ha verso la realtà, simile al rapporto che un artista ha con la sua opera. Si prenda il seguente passaggio tratto da La filosofia nell’epoca tragica dei Greci:

Ma se si volesse avanzare a Eraclito la domanda per quale ragione il fuoco non è sempre fuoco, perché mai sia ora acqua, ora terra, egli si limiterebbe appunto a rispondere: “E’ un gioco, non prendetelo troppo sul patetico, e soprattutto non in termini morali!”. Eraclito descrive soltanto il mondo esistente e prova per esso quel compiacimento contemplativo con cui l’artista guarda la sua opera in divenire. (p.220)

Con queste parole Nietzsche prende le distanze da chi sostiene che la scienza possa raggiungere verità definitive. Fare scienza significa immedesimarsi nell’artista che guarda la sua opera da angoli diversi, plasmandola e dandole così nuovi significati. Oppure immedesimarsi, per usare un’immagine suggestiva tratta da Zavatta, in un “viandante che sosta per brevi periodi presso dei giudizi, dei sentimenti, delle considerazioni a cui la sua ricerca è approdata” per osservarli da diversi punti di vista per poterli conoscere meglio, senza però mai fermarsi definitivamente (p.11). Il processo tramite cui si acquisisce conoscenza non ha dunque una meta, non esiste un momento in cui si può dire di conoscere veramente una cosa. È piuttosto un processo in fieri, che non ha fine.

Questa concezione è appunto al centro dell’opera più matura La gaia scienza, dove il titolo stesso rimanda a una maniera “gaia”, creativa e giocosa di fare scienza. Il modo per smantellare gli ideali divini e seri che costituiscono i dogmi ‘scientifici’ dell’Occidente non può che consistere nel contrapporre a questi un lavoro di libera interpretazione. È Nietzsche stesso ad affermare “Non conosco altra maniera di trattare i grandi compiti che non sia il gioco: fra i segni della grandezza, questo è un presupposto essenziale” (Gaia scienza, Libro III). Si tratta di un metodo che utilizza strumenti propri della creazione libera, o dei giochi di metafore, per distruggere le fondamenta del sapere scientifico. Lo scienziato diventa così artista e poeta, o poietès, colui che crea. Nietzsche, che in quest’opera si rende scienziato-poeta, elogia chi sa giocare con sé stesso. Nell’aforisma 382 de La gaia scienza, ad esempio, associa lo stato di salute con “l’ideale di uno spirito che ingenuamente, cioè suo malgrado e per esuberante pienezza e possanza, gioca con tutto quanto fino a oggi fu detto sacro, buono, tangibile, divino”. È l’ideale di un umano-sovrumano, spiega lui, che appare quasi disumano in confronto alla serietà che permea la società ‘umanistica’ occidentale.

L’immagine del bambino che gioca riappare in Così parlò Zarathustra, in cui si ricollega ai due temi centrali di volontà di potenza ed eterno ritorno. Illustrando il percorso di evoluzione che dovrà portare l’essere umano dallo stato attuale a quello di superumano, Nietzsche individua tre trasformazioni: in cammello, in leone, e per ultimo in fanciullo. Il cammello, che incarna lo spirito ancora immerso nella realtà del proprio tempo, diviene leone quando si ribella alla morale dominante, evolvendosi così in uno spirito libero. A questo punto Nietzsche spiega perché occorre andare oltre questo stadio di liberazione:

Ma dite, fratelli, che cosa può il fanciullo, che non poté nemmeno il leone? Perché il leone predatore deve ancora diventare un fanciullo?

Innocenza è il fanciullo e dimenticanza, un ricominciare, un gioco, una ruota che gira su se stessa, un primo moto, un santo dire di sì.

Sì al gioco della creazione, fratelli, occorre un santo dire sì: lo spirito vuole la propria volontà, chi è perduto al mondo conquista il proprio mondo. (p.242)

Un ‘dire sì’ che è un accogliere senza riserve quello che accade al di là del controllo umano. Una festa delle apparenze, fondate su nessuna verità e nessuno scopo altro dall’arrendersi a quell’attimo di piacere chiuso in se stesso. Sarà solo il fanciullo a poter costruire un nuovo mondo con la sua innocenza, incontaminata dai dogmi che Nietzsche tanto critica. L’innocenza del fanciullo, che gioca liberamente senza conoscere regole, è l’unico punto di partenza per potersi liberare del risentimento verso il passato e imporre sé stessi sulla morale, che è pura illusione e permea l’Occidente nelle sue varie forme.

Se la scienza ha reso gli umani schiavi delle sue spiegazioni universalistiche (ma la verità secondo Nietzsche è solo una questione di persistenza nel tempo, di abitudine e ripetizione), il gioco, il versante estetico del conoscere, è in grado di liberare quella volontà di potenza finora frustrata. È questo il significato che il tema del gioco assume nell’opera di Nietzsche, tanto da diventare quasi una metafora della sua filosofia. Dalla contrapposizione fra apollineo e dionisiaco al fanciullo che giocando plasma il mondo con la sua innocenza, il gioco è un simbolo dell’ideale di libertà, che distrugge il passato e ricostruisce il presente e il futuro.


Riferimenti
F. Nietzsche. Così parlò Zarathustra, in Opere, Roma: Newton Compton 1993.
F. Nietzsche. La filosofia nell’età tragica dei Greci, a cura di F. Desideri, Milano: Newton Compton, 1993.
F. Nietzsche. La gaia scienza, in Opere, Roma: Newton Compton 1993.
F. Nietzsche. La nascita della tragedia, in Opere vol. III, a cura di G. Colli e M. Montinari, Milano: Adelphi, 1972.
Zavatta, B. Il mondo del gioco e il gioco del mondo in F. Nietzsche. ISONOMIA, Rivista di Filosofia, 2002.

Daniela Movileanu
Daniela Movileanu è studentessa di Relazioni Internazionali presso l'università John Cabot di Roma, dove sta conseguendo anche un minor in Filosofia. Praticando scacchi a livello sportivo, è interessata alla relazione fra il gioco e discipline accademiche. A febbraio 2017, ha organizzato presso la John Cabot University una lecture sul ruolo della creatività umana nell'era della tecnologia visto attraverso gli scacchi.

1 commento

  1. Trovo estremamente interessante questo studio sul ‘gioco della vita’. Mi appassiona e mi dà gioia guardare all’esistenza con gli occhi nuovi del bambino.

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