Huizinga: l’uomo che gioca.

Articolo a cura di Marco Antomarini.

La cultura e la filosofia nascono per gioco. Accanto all’Homo Faber scopriamo con Huizinga l’Homo Ludens.

Il gioco realizza nel mondo imperfetto una perfezione temporanea.

Un padre trova il figlio di quattro anni intento a giocare “al trenino”, seduto sulla prima di una fila di sedie. Abbraccia il bimbo, ma quello gli dice: «Babbo, non devi baciare la locomotiva, se no i vagoni credono che non sia una cosa seria».

Che il gioco sia una “cosa seria” è sostenuto ed argomentato approfonditamente da Huizinga nel testo Homo ludens del 1938. Vi si sostiene la tesi per cui il gioco vada annoverato tra le esperienze umane che hanno natura pre-sociale, cioè nasca e venga vissuto dai soggetti prima della loro costruzione identitaria e della comprensione della realtà. La cultura nasce in forma ludica perché ogni cosa è dapprima giocata; nei giochi e con i giochi la vita sociale si riveste di forme sopra-biologiche che le conferiscono maggior valore. “Nei giochi la collettività esprime la sua interpretazione della vita e del mondo” (Huizinga, Prefazione). Il gioco non si converte in cultura, ma la cultura ha nelle sue fasi originarie il carattere di un gioco.

Dunque, la stessa civiltà umana si sviluppa e sorge da un’esperienza ludica: le attività antitetiche al gioco, che generalmente attribuiamo alla sfera della serietà, come l’arte, la scienza, la religione, fino alla guerra, prendono forma a partire dunque dal gioco. “Il gioco è più antico della cultura stessa ed è qualcosa di più che un fenomeno puramente fisiologico: il gioco è una funzione che contiene senso; anzi, è lo strumento privilegiato nella costruzione di senso” (Huizinga, Prefazione).

Il giocare è atto libero, al di fuori della vita ordinaria ed avviene entro un “cerchio magico” (vedasi Huizinga, Capitolo 1) che possiede tempo e spazio suoi peculiari; il gioco crea ordine e non ha interesse materiale. Il gioco ci fa “abbandonare ad un altro mondo” oltrepassando i limiti della mera funzione biologica; esso è sì elemento istintuale, ma senza connotati o finalità di sussistenza o sopravvivenza. Si colloca in una sfera spirituale, in altre parole l’altra dimensione necessaria all’uomo. “Mi pare che l’Homo Ludens indichi una funzione almeno così essenziale come quella del fare e che meriti un posto accanto all’Homo Faber” (Huizinga, Prefazione). Se gli animali giocando oltrepassano la mera esistenza fisica, scoprendo l’interazione col mondo, nell’uomo, sin da piccolo, il gioco diventa elemento di ricerca, tanto spirituale quanto culturale.

Anche se il gioco rappresenta un allontanamento dalla vita reale, tuttavia completa e integra quella stessa vita da cui si estranea. Il suo fine, infatti, è spingere la nostra attenzione oltre la sfera materiale, verso una dimensione spirituale nella quale ricercare e rintracciare senso, ordine, anche bellezza. Da qui nascono la gioia e la tensione che proviamo giocando: gli istinti non possono essere biasimati per il fatto di portarci a giocare; noi giochiamo perché ci diverte farlo ed è in questo che consiste la nostra libertà.

Certo, il gioco è una funzione che potremmo tralasciare: il gioco è superfluo, non è imposto da una qualche necessità o comandamento; si fa nell’ozio, dopo, al di fuori del lavoro. Giocando ci allontaniamo dalla realtà, ci abbandoniamo fino all’estasi raggiungendo vette di bellezze ed estasi che la serietà non raggiunge.

Eppure, giocando, costruiamo una realtà diversa in un determinato spazio (pensiamo alle regole di degli scacchi e alla forma della scacchiera oppure ai giochi di ruolo e quelli da tavolo); in questo senso, Huizinga, sostiene che il gioco crei un “ordine” che domina entro i determinati limiti in cui è svolto. Se l’ordine viene infranto, o una regola violata, ebbene il gioco finisce. E questa tensione a non farlo terminare mette alla prova ogni giocatore e lo fa continuare a giocare. Nel gioco siamo impegnati in maniera assoluta, senza altro fine se non il giocare stesso. Questo è il senso del gioco, ovvero la presa d’atto di essere diversi da quelli che siamo nella vita ordinaria. Huizinga sottolinea come i termini con i quali definiamo ogni gioco provengano, in fondo, dalla sfera dell’estetica: tensione, equilibrio, oscillamento, scambio, contrasto, variazione, intreccio, soluzione, fascinazione ed incanto.

Il gioco è pre-sociale e, in quanto tale, innegabile. Si possono negare quasi tutte le astrazioni, dalla giustizia alla bellezza, la filosofia, la verità, la bontà, lo spirito e Dio; si può negare la serietà, ma non il gioco. Ciò lo colloca in una dimensione spirituale e vi si rappresenta il mondo sub specie ludi (Huizinga, Capitolo 11) nella quale ci troviamo al di là del vero e del falso, del bene e del male, della virtù e del peccato, ma nella quale nasce la bellezza derivante dall’armonia e dal ritmo propri del giocare (si pensi alla bellezza dei corpi in movimento di un qualsiasi sport).

Non per mera celia, dunque, e neppure per evasione fine a stessa: giocare è una cosa seria, nella quale facciamo esperienza di una forma di perfezione irraggiungibile nel mondo ordinario.


Riferimenti:

[1] Johan Huizinga, Homo Ludens, Einaudi, Torino, 2002, n. 588.

Marco Antomarini
Laureato in filosofia, è un disegnatore autore di copertine di libri e dischi (Instagram: @marcdisegni). Collabora al GamificationLab magazine creando illustrazioni e disegni a corredo di articoli e news. Oltre all'attività artistica, lavora presso la COOSS Marche Onlus come ricercatore ed europrogettista, dove si occupa di gamification e dell'utilizzo di tecnologie al servizio di persone con disabilità. Nato a Macerata nel 1975 vive ad Ancona.

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