Friedrich Schiller: L’istinto del gioco

Schiller istinto
schiller istinto

Il gioco come istinto mediatore fra sensi e intelletto nella filosofia di Friedrich Schiller (1759-1805)

Settimo articolo della collana Il gioco nella filosofia dedicato a Friedrich Schiller. La collana si propone di illustrare come il gioco sia presente nella filosofia di vari pensatori e quale funzione esso abbia assunto nel corso della storia della filosofia. La serie è curata da Brunella Antomarini, docente di filosofia presso l’università John Cabot di Roma.
Il presente articolo è incentrato sul significato del gioco nel pensiero di Friedrich Schiller.

Sebbene la metafora del gioco come libertà inventiva sia ricorrente in questa collana, il filosofo e poeta tedesco Friedrich Schiller ne può essere considerato uno dei migliori esponenti. Nel 1795, dopo aver visto i grandi ideali della Rivoluzione francese sfociare nella violenza, Schiller pubblica le Lettere sull’educazione estetica dell’uomo. Fervente sostenitore della Rivoluzione, il pensatore tedesco segue con delusione gli avvenimenti oltre confine. È in questo clima che indaga il potere salvifico del gioco e della bellezza, che considera come un connubio fra i sensi e l’intelletto capace di portare gli esseri umani alla libertà fisica e morale. Per comprendere il ruolo del gioco nell’estetica di Schiller, è necessario prima esporre le dicotomie che intende conciliare.
Una prima distinzione si basa sull’opposizione fra “persona” (Person) e “stato” (Zustand). Come spiega Schiller stesso nell’undicesima lettera, il primo concetto si riferisce a ciò che negli esseri umani è permanente, mentre il secondo a ciò che è mutevole. In altre parole, l’essere umano può passare dall’essere triste all’essere felice o dall’essere addormentato all’essere sveglio (cambia, cioè, lo stato), ma la sua essenza, o persona, rimane invariata. Mentre lo stato si riferisce dunque all’esistenza materiale, la persona corrisponde a una dimensione ideale, atemporale. Per Schiller, l’essere umano è sia stato che persona. Deve dunque dare materialità alla forma, alle idee, così da non essere solamente persona, ma anche ridare continuamente forma alla realtà materiale, in modo da non ridursi semplicemente ai sensi.
Questa contrapposizione fra sensibilità e ragione sta alla base della dicotomia “istinto sensibile” (Sinntrieb) / “istinto della forma” (Formtrieb). Il primo istinto deriva dallo stato, dall’esperienza sensoriale. Esso richiede, come scrive Schiller, “che il mutamento esista, che il tempo abbia un contenuto” (XII). Si tratta, dunque, di un impulso che lega l’essere umano alla sua esistenza materiale e temporale. È attraverso la sensazione, o percezione, che l’essere umano coglie l’esistenza fisica. Al contrario, l’istinto della forma deriva dalla persona, dalla natura razionale dell’essere umano. È un impulso a raggiungere la libertà dai suoi limiti materiali e temporali. Questo istinto, spiega Schiller, “vuole che il reale sia necessario ed eterno, e che il necessario e l’eterno siano reali: tende, in una parola, alla verità e al diritto” (XII). Laddove l’istinto sensibile porta l’essere umano a voler soddisfare le necessità del presente, l’istinto della forma gli dà ragione e sentimento morale, che lo portano a ricercare verità e giustizia.
Sebbene i due istinti possano apparire inconciliabili, Schiller fa notare non solo che non si contraddicono l’un l’altro, ma anche che l’essere umano ha bisogno di un equilibrio fra i due per realizzare il proprio potenziale. Se l’istinto sensibile avesse la meglio, allora l’essere umano sarebbe semplice materia. Se l’istinto della forma invece prevalesse, l’essere umano perderebbe contatto con la realtà, che viene dato dai sensi. Come spiega Schiller, “[m]ercé dell’unione di queste due proprietà, l’essere umano riunisce in sé la suprema pienezza dell’esistenza e la più grande indipendenza e libertà; e invece di perdersi nel mondo, lo attrae piuttosto a sé, con tutta la infinità de’ suoi fenomeni, e lo assoggetta all’unità della sua ragione” (XIII). In poche parole, la ragione raggiunge il suo potenziale quando si confronta col mondo fenomenico, permettendo così all’essere umano di conoscerlo e comprenderlo.
Il potere salvifico del gioco è dato per l’appunto dal connubio fra percezione e intelletto. Quello che Schiller definisce come “istinto del gioco” (Spieltrieb), un impulso mediatore “nel quale gli altri due operano congiunti, costringerà l’anima fisicamente e moralmente; e distruggendo ogni casualità, distruggerà nel tempo ogni pressione o violenza e porrà l’essere umano in libertà fisica e morale” (XIV). Perché l’impulso del gioco possa mediare fra i sensi e la ragione, dunque, è necessario che l’essere umano abbia consapevolezza sia della sua esistenza materiale che della sua libertà. Se l’oggetto dell’istinto sensibile è la vita, ovvero tutto ciò che è accessibile ai sensi, e l’istinto della forma è appunto la forma, cioè tutto ciò che è proprio della ragione, l’oggetto dell’istinto del gioco è l’unione fra i due, quindi forma vivente, o bellezza. Per usare uno degli esempi di Schiller, un blocco di marmo che esiste solo come materia è privo di forma, mentre una scultura che esiste solo come idea nella mente di uno scultore è priva di vita. Modellando il blocco di marmo, lo scultore dà forma alla vita e vita alla forma, trasformandolo in forma vivente, che giudichiamo come bella.
Si può così intuire come l’istinto del gioco, mediando fra sensi e intelletto, porti l’essere umano ad aspirare alla bellezza e dunque a raggiungere la libertà fisica e morale. Perché l’istinto del gioco possa congiungere gli altri due, l’educazione estetica dovrebbe divenire colonna portante nella formazione degli esseri umani, in modo tale da abituarli a cogliere la bellezza e raggiungere un equilibrio fra percezione e ragione. Grazie a questa concezione metafisica del gioco, le Lettere di Schiller diventano un inno all’umanità, che propone una cura non solo alla violenza di fine ‘700, ma alle tragedie umanitarie dei tempi a venire.


Daniela Movileanu
Daniela Movileanu è studentessa di Relazioni Internazionali presso l'università John Cabot di Roma, dove sta conseguendo anche un minor in Filosofia. Praticando scacchi a livello sportivo, è interessata alla relazione fra il gioco e discipline accademiche. A febbraio 2017, ha organizzato presso la John Cabot University una lecture sul ruolo della creatività umana nell'era della tecnologia visto attraverso gli scacchi.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here